In principio è la relazione

Quale relazione?

Ho deciso di intitolare questo nuovo articolo scomodando Martin Buber, pedagogista e filosofo del secolo scorso.

Pensando al concetto di relazione, le libere (ma non troppo) associazioni mentali rimandano subito all’idea di rapporto romantico, al grande concetto – calderone dell’Amore.

Ma qui, in questo tempo-spazio sempre più ristretto, sembra che l’Amore – sentimento supremo – percorra una sola corsia, su di una strada – sempre la stessa –  sempre allo stesso modo, al quale tutti si piegano per poterne sorbire un po’… ma è davvero cosi?

Anche la mantide religiosa si è svegliata da sola stamattina.

Non c’era nessun compagno, con lei, da decapitare, nessun insetto di sesso maschile a cui strappare la testa a morsi, anche con una certa veemenza.

La mantide è sola e chiede compagnia, sembra spaesata sul cordolo di cemento delle scale esterne delle mia casa. Poi, inizia ad arrampicarsi, si infila dentro una ciabatta… per un po’ sta li.

La osservo, prima di appoggiarla sulla lastra di marmo del piccolo terrazzo. La superficie è umida, sa ancora di pioggia; la mantide cerca di orientarsi, con la sua testa triangolare, i suoi arti fini, le sue antenne, infine, sottilissime.

Cerca l’Amore.

Che cos’è l’Amore?

Credo che sia una domanda aperta a più risposte e alla quale non ne corrisponde nessuna definitiva.

Ma soprattutto cosa significa saper stare in una relazione d’Amore?

Pare che qui al contrario tutti fuggano appena non riconoscono quell’ormai nevrotico sentimento definito Amore, che corre su e giù sulla solita strada, urlando le stesse cose, urtando sugli stessi ostacoli!

Buber parla di dialogo, che secondo il filosofo è la vita stessa: un sostrato di base ineludibile. Ne compie però una netta differenza; infatti, egli parla di:

  1. Beziehung come la relazione autentica nella quale vivono e sostano due esseri (umani), entrambi rispettivamente completi;
  2. Erfahrung che è il monologo, che si rivolge a un qualcosa di oggettivato, di reificato ossia reso cosa…foss’anche un altro essere vivente.

La discrepanza è netta e lampante e viene da domandarsi a quanti Beziehung partecipiamo nella nostra vita!

Quante volte l’Amore si accartoccia su se stesso, facendosi reietto, sottoposto all’usura dei giorni che scorrono, alla noia delle abitudini che, cadenzate, si ripetono.

L’Amore è (anche) duro

Spesso l’Amore non si riconosce anche quando esiste, respira e agisce esprimendo se stesso… non viene visto in quanto fuori dalla sua fantomatica “corsia di realizzazione”.

Ricordo, che qualche anno fa partecipai a un seminario e la formatrice si soffermò proprio sull’argomento “sentimenti”. Offrì il suo punto di vista che per me, all’epoca, risultò scardinante e innovativo, sicuramente più ampio. La donna disse che l’Amore può anche manifestarsi con durezza, con scarsa riconoscenza, senza gentilezza.

Tali parole mi avevano fatto rivalutare l’immagine del sentimento, contemplandolo, da li in poi, sfaccettato, poliedrico, dotato di più volti, mutevole e affascinante nelle sue cromie.

La consapevolezza della cura e della tenerezza

Questo profondo sentimento magmatico da cui tutto muove è alla fine soggettivo, cangiante, impossibile da bloccare in un frame, da rendere eterno, è come una marea che sale e che scende senza mai scomparire. Insomma l’Amore è tutto: è la cresta dell’onda ed il suo inabissarsi, la presenza e l’assenza, il diritto e il rovescio, il dolore e la gioia.

L’Amore può ferire e, per questo rendere vulnerabili.

È un peccato? No, non direi perché ci mette in connessione con noi stessi, con le nostre ferite, ci prepara la strada verso un cammino che può renderci sempre più completi, finalmente pronti per un dialogo Io-Tu, come sosteneva Buber.

Ma per fare questo, bisogna sentire completamente l’Amore e soprattutto essere rispettosi di tutte le sue parti: quelle più gradevoli e quelle meno. Senza sconti e senza preferenze!

Non ridurlo a fanatiche gesta di conquista, miseramente fallimentari. Non incastonarlo dentro alla gabbia del possesso.

Certo, belle parole lo so… ma nella pratica? Siamo tutti bambini con una voglia matta di arrampicarsi per assaggiare la marmellata posata sulla mensola più alta, ma la sedia vacilla sempre…

Perché l’Amore è l’adulto che non pretende a pugni serrati il dolce nettare, piuttosto colui, che consapevole di tutti i suoi limiti e parti finite, lo mette a disposizione, con semplicità.

Ci voglio anni, tempo, impegno e fatica per arrivarci. Ma quella è la marmellata più buona!

Mi viene in mente un verso di una canzone di Ivano Fossati:

La costruzione di un amore spezza le vene delle mani, mescola il sangue con il sudore se te ne rimane, la costruzione di un amore non ripaga del dolore è solo un altare di sabbia in riva al mare”.

Queste parole sono emblematiche, se lette con attenzione, e non necessitano di alcuna delucidazione altra.

Esse ricordano la rarità di vivere questo sentimento, non tanto perché difficile da trovare, piuttosto perché impegnativa ne risulta la sosta nel suo magma, un incarico che non tutti vogliono indossare, un po’ come il vestito delle feste: bello ma scomodo e stretto!

Ritorna qui il concetto di cura, con il quale avevo inaugurato questo blog.

Dentro la cura si rinnova la tenerezza cioè quella proprietà a essere duttili, malleabili, che concede a farsi toccare.

Praticare tenerezza è, dunque, farsi sensibili, morbidi come calde coperte che avvolgono gli spigoli di quell’Amore che non sappiamo maneggiare.

Oggi va così, buona lettura.

Sveva  



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