La memoria del cibo

Le pietanze, alcune, sono come vasi di Pandora ricolmi di memoria emozionale, almeno per me.

 

Proust e le sue madeleines insegnano!

Ovviamente, le assaggiai: un dolce morbido, spugnoso, da un sol morso. Il sapore monocorde, l’aspetto caratterizzato da un colore giallo caldo e cotto, ben distribuito.

No, per me le madeleines non dischiusero alcuna porta a mondi altri.

 

Poi compresi: la memoria del cibo si declina personalmente.

Per esempio, nel mio vocabolario di pietanze mnemoniche mi fermo alla lettera L di latte condensato e poi alla M di mozzarella in carrozza.

Sicuramente, i più salutisti esploderanno, adesso, in una fragorosa risata! “Alla faccia della dieta!”… Quale dieta?

 

Battute a parte, trovo affascinante questo percorso reminescente di cui si fanno portatori gli alimenti; in alcuni casi esso assume forme avversative, legate al riscatto e alla conquista, in altri consente l’ingresso in radure morbide come memorie d’affetto materno.

Questi cibi particolari, che contengono sapori sfumati di ricordi, sono i classici veleni che si trasformano in antidoti: ci vuole sapienza e coscienza ad assaporarli e, forse, soprattutto a digerirli.

 

Al primo caso, appartiene per me il latte condensato. Da piccola era un pericoloso tesoro inarrivabile, concesso a stille e tenuto nascosto.

Giusto qualche mese fa decisi di ridurre la distanza tra me e il denso-bianco nettare per confrontarmici finalmente, conquistarlo e, semmai, instaurarvi un rapporto “alla pari”.

Quando iniziai la ricerca del tubetto sembrava che il latte condensato fosse divenuto introvabile: percorrevo più e più volte le corsie riservate alla preparazione di dolci ma nulla, non si faceva trovare! Non sbucava, non emergeva tra confezioni di zuccherini, lieviti e gocce di cioccolato, stava ben nascosto!

Dovetti accontentarmi di una confezione di sottomarca trovata in un discount.

Quando liberai l’apertura del tubetto dalla sottile ostia linguettata di carta stagnola, attesi -assieme al cucchiaino da thè – di colmarmi di quel denso latte.

 

Fu una delusione: troppa aspettativa, la memoria andava svuotata.

La mia bocca venne pervasa da un impiastro dolciastro dal vago sapore di latte; pochi secondi e tutto sparì. Nessun ardente sapore rimase connesso al mio palato.

 

Dopo questa esperienza, vedo latte condensato della marca originale, ovunque! Ma l’incantesimo oramai, è sciolto, la memoria si è diluita e la mia bambina interiore si è interessata, nel mentre, ad un altro “giocattolo”.

 

La carezza in carrozza

 

Invece, la mozzarella in carrozza si fa portatrice di un forte potere consolatorio.

Sa di sera d’inverno, dove il fuori è buio e la città inizia a chiudere le sue rumorose saracinesche come occhi stanchi. Dentro, nel tinello, al contrario la luce è accesa. Il lampadario giallo irradia una fonte luminosa costante, ampia e estremamente carica.

La mozzarella in carrozza è il sapore della sorpresa, di quella piccola come la festa che la sua bontà si trascina dietro: rara e preziosa.

 

Io l’attendevo seduta sulla sedia posta tra il tavolo e la colonna del forno: un piccolo incastro, un posto stretto che sapeva di nicchia, guardando verso il cucinino, mia madre di spalle e di buon umore e io bambina o poco più che osservavo e aspettavo.

 

La mozzarella in carrozza incarna la marcatura neuronale di un momento di benessere e di cura materna genuina.

Questa sera, mi sono fatta un regalo: l’ho cucinata per me.

Mi sono trasformata in madre di me stessa, ho annaffiato quella piccola gioia, concimandola, a mia volta, di sorpresa. Ho preparato gli ingredienti giusti: le uova sbattute, 5 cucchiai di latte e così via … dando un buffetto sulla guancia alla figlioletta golosa in attesa.

 

Infine, ho ricordato teneramente mia madre e questo sì che è stato nutriente! Perché nello sfondo scuro di ciò che è stato è naturale che emergano piccole lune belle: satelliti d’affetto reconditi e veri di cui si è goduto.

 

 

Grazie

 

 

Sveva



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